"[Santiago] pensava sempre al mare come a La Mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che lo amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani [...] ne parlavano come el mar al maschile. Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o persino di un nemico. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori [...]". Da "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway
sabato 19 giugno 2010
Fiumi asciutti. Fiumi privi di vita.
Parlo ancora di acqua, argomento a me molto caro. Ancora da "Acqua e ambiente" di Sara Ceci, ed. EMI. Questa volta si tratta di mega opere: LE DIGHE PIU' DEVASTANTI DEL MONDO. Da sempre l'uomo agisce sul corso dei fiumi, costruendo dighe, argini e deviazioni per sfruttare, trarre benefici o difenderdi dalla grande potenza dell'elemento acqua. Se non fosse che ultimamente la dimensione di queste opere, per via delle tecnologie at the state of the art e per un bisogno sempre crescente di soddisfare le esigenze di un nomero infinito di persone, si è fatta rilevante "dando vita a nuovi paesaggi artificiali".
Quale l'impatto sul territorio? Purtroppo, nella maggior parte dei casi non miglioramenti e sviluppo, ma povertà e devastazione. Le grandi dighe si trovano soprattutto in Cina, negli Stati Uniti, nell'ex Unione Sovietica, in Giappone, in India. Per permettere la costruzione di queste opere enormi, un grande numero di persone (dai 30 ai 60 milioni) si è dovuto allontanare dalle proprie case, abitudini e luoghi di lavoro. Inoltre si contano danni irreversibili all'ambiente, come la perdita degli equilibri degli ecosistemi dei grandi fiumi, peggioramento della qualità dell'acqua e dei sedimenti con conseguente rischio di patologie per la fauna ittica, perdita degli habitat fluviali, rischio elevato di estinzione per lo storione cinese, estinzione del delfino d'acqua dolce (Cina), rischi anche per altre specie animali. Grossi rischi per tutti: inondazioni catastrofiche come già avvenute nel 2000 sempre in Cina. Pochi vantaggi, molti profitti per i costruttori, infatti spesso le popolazioni locali si trovano anche più indebitate di prima, nei paesi in via di sviluppo, perchè i lavori delle grandi dighe sono affidati ad imprese multinazionali americane, europee e giapponesi, che invece, ne traggono numerosi profitti. Un'eccezione è stata l'India, dove i movimenti di opposizione a tali consuetudini provenienti "dal basso" hanno ottenuto l'annullamento della costruzione della diga di Narmada. Chissà se una simile situazione potesse accadere in Italia nell'ambito delle trivellazioni in mare. Chissà se il popolo riuscisse a fermare le trivellazioni e la costruzione di nuove piattaforme di estrazione di combustibili fossili in mare. Questo è un altro discorso (oppure no).
Parlare di grandi dighe significa parlare di interventi nonsense: per ottenere solo il 20% dell'elettricità globale e il 10% della produzione mondiale di cibo e fibre sono state costruite ben 50 mila grandi dighe con danni sociali e ambientali incalcolabili. Uno degli esempi peggiori è la gigantesca diga delle tre Gole sullo Yangtze river in Cina, che sta distruggendo 140 città e 351 villaggi, mettendo in pericolo la sicurezza degli abitanti.
Secondo la Ceci la costruzione delle grandi dighe va di pari passo con le le politiche agrarie. infatti, se in passato le popolazioni locali sviluppavano colture a seconda dei periodi, in funzione ddelle inondazioni, coltivazioni quindi diversificate, ora, erette le dighe si tende ad avere una monocoltura che necessita di irrigazione permanente, che mira alla esportazione. Ma se venissero computati i costi reali di tali risorse idriche, persino le esportazioni ben avviate non risulterebbero più vantaggiose. La vita locale, umana e degli ecosistemi è dissipata a favore dell'esportazione, sfruttando il sistema fino all'ultima goccia d'acqua per soddisfare l'attuale generazione a scapito di quelle future. Fiumi asciutti, privi di vita.
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